IL CALENDARIO
Scendo al secondo piano del plesso
che ospita una parte degli uffici,
nel vuoto lasciato dalla Ragioneria
trasferita ad altra sede,
per fumarne una in pace.
In una delle stanze evacuate
– nel silenzio che protesta una passata
gloria di stampanti ad aghi e fervore
di àlacri impiegati – alla parete nuda,
quasi al centro,
un calendario.
Mi avvicino.
Pende a un chiodo
storto, arrugginito.
Ha solo l’ultimo foglio
col mese di dicembre.
Uno di quei calendari delle ditte
che si aggiudicarono un appalto
e dispensarono mazzette ad alcuni,
effemeridi ad altri.
Uno di quelli semplici,
a due colonne, con i feriali
in nero e i festivi in rosso,
come è normale.
Ma qualcuno vi ha scritto qualcosa,
sui righi per l’agenda accanto ai giorni,
in stampatello maiuscolo, con mano
incerta, non avvezza alla scrittura.
Un operaio, forse, o uno dei
facchini spossati dal trasloco
che faceva una pausa rubata,
dopo un panino con la frittata.
Prima di andarsene, l’uomo
volle graffire ciò che sentiva
su quel murale.
Tutta la saggezza che può
attingere un qualsiasi animale:
QUESTO ANNO
NON CI POTRA’
PIU’ FARE MALE.