Dalla prefazione
Osti si presenta lontano da ogni tentazione “letteraria”, è lontanissimo dal poetico e dal “poetese”: vuole dire le cose in modo energico e diretto, eppure ha una sua struttura culturale robusta che risulta con efficacia nella limpida scansione e nella fierezza di tono della sua prosa.
Cascinale a Sant’Angelo Lodigiano
Verrà l’autobotte del latte; la trebbiatrice resterà nel miraggio sgraziato… ferrivecchi fra le falci. Fienili con lampione agli archi, l’icona dimenticata di un dio. Patate e carne lessa al tavolaccio, oltre il lume intravisto nella distanza.
Recensione di Massimo Dagnino su “Errore di sintassi” (fonte: massimodagnino.blogspot.it)
«Buongiorno Signor Direttore, prima di impallidire si volti lentamente verso la finestra e guardi fra le frasche del parco…mi vede? Sono scappato; » una Corrispondenza dalle ribalte – carica di ironia – apre il libro di Francesco Osti Errore di sintassi. Nato a Morbegno (SO) nel 1976, alcuni suoi testi figurano in diverse antologie: Tutta la forza della poesia(Labos, Morbegno 2003), Nuovissima poesia italiana, a cura di M. Cucchi e A. Riccardi (Mondadori, Milano 2004) e, di recente pubblicazione, La riqualificazione urbana (Coen Tanugi, Milano 2006).
Uno dei tratti salienti del libro è l’elisione dell’a capo, “di ciò che eccede la struttura sintattica” (secondo una brillante formula di Nicola Bucci), che si riconfigura nella scelta della prosa breve. L’altro riguarda le tematiche: l’autore si sofferma nella periferia descrivendone, con sguardo pittorico, le infrastrutture in cui si aggirano passanti, tecnici del telefono, camionisti e operai turnisti, l’uomo alla betoniera («perdutamente guasta»), ecc… periferia dove proliferano dismissioni, il rosso delle case cantoniere, raffinerie mentre le “poste e telecomunicazioni” sono «una beffa giocata da un baro…» in una continua “destrutturazione” dello spazio, assorbite nell’Attesa di paese. In questo paesaggio alla luce di sodio «vie industriali smagliano in filamenti verso le campagne» e «l’unico passeggero» di «un autobus della linea locale» è «una donna avvolta nello scialle di lana nera», figura quasi materna avulsa dal «tormento della decisione»: «le componenti principali » – scrive Marc Augé ne Il viaggio ad Aulnay – «del paesaggio della periferia urbana odierna […] condannano piuttosto l’individuo alla solitudine e all’anonimato proprio nella misura in cui questo “paesaggio” si squalifica, perduto tra un passato senza traccia e un futuro senza forma. Il demografo Hervé Le Bras utilizza per designarlo l’espressione “filamenti urbani.”» Ecco ritornare i “filamenti “ che nelle prose di Francesco coincidono con il “farsi e disfarsi” del paesaggio: nessun paesaggio umano rimane stabile a lungo. In questa instabilità entra in gioco la dismissione (la terza sezione del libro è incentrata su questo tema) : «la bocca atteggiata come se zufolasse, poi contratta, severissima …eccolo, nell’ultimo rifugio, il volto della Dismissione.» Dismissione che in Sopralluogo è “scoperta” dall’intrusività del lavoro e dunque non è solo l’edificio, la fabbrica ad entrare in dismissione ma anche l’uomo, a cui sono sottratte tutte le possibilità, «diviso in meri segmenti d’uomo, frantumato in frammenti e briciole di vita…» (Ruskin).