Se un merito va a questa giovane autrice, è la capacità del rischio, prevedendo i colpi bassi dell’enfasi, ma anche le risalite grazie a un pensiero piuttosto lucido.
La Natura è la diva, questo è certo, ma una diva antropomorfizzata: La pianta ha i suoi muscoli, / la sua carne, ed anche le sue ossa / e i nervi. Perché in fondo sta qui la metafora, una Natura che tenta di rappresentare un ideale umano: libero, per intenderci. Una Natura libera come dovrebbe essere libero l’uomo.
E della poesia è compito destabilizzare, smottare e inquietare a iniziare dal soggetto scrivente: “La scrittura come malattia cronica”, recita un titolo della silloge. Libertà significa anche consapevolezza di schiavitù, cognizione tanto più colpevole se viene ignorata: Il liquido amniotico del / sapere, fa nascere / servi ubriachi.
Federica Gullotta rientra sicuramente nel novero di una poesia visionaria, ma di una visionarietà calibrata nella creatività del contrasto: orfica, ma lucida. Lirica, ma contemporanea. Da Archiloco a Rimbaud, da Rimbaud a De Angeli …
brani tratti dall’introduzione di Mary B. Tolusso
Il Giudizio dei Buoni
La notte puniva le danze, colpiva
la piscina di proiettili feroci,
limpidi nella notte di tessuto.
Dissi che tutto si compiva
che Dio finalmente concentrava la vita dispersa
in un punto d’amore, che il silenzio era stato abolito,
la stanchezza del mondo benedetta dal sonno.
Ma sott’acqua si muovevano cose,
la musica iniziava senza tregua ed era ancora
indispensabile per me che la vita si concentrasse
ed esplodesse in un solo punto.
L’amore è lontano
Nessuno ci chiese a undici anni di affacciarci alla tazza di Dio,
né a quattro di far stridere fra loro i fili del Diavolo.
Un ragazzo di campagna nel frattempo
costruiva una panca sovrumana,
da cui guardare i campi non suoi
con uguale trasporto. Seguiva
la lenta marcia indietro del bovino,
il trotto contrario del cavallo.
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