Tra i poeti britannici delle ultime generazioni Kate Clanchy è senza dubbio una delle più popolari presso il pubblico e allo stesso tempo tra le più stimate dalla critica. Le poesie qui incluse sono tratte dalle sue tre raccolte poetiche: Slattern, 1995 / 2001; Samarkand, 1999; Newborn, 2004.
Quella di Kate Clanchy è una poesia fresca, audace, immediata. Accessibile. Ma anche profonda, intensa, ricca di forti emozioni, di sensualità e di metafore inaspettate, di originalissime immagini. Di grande abilità formale e di forte musicalità. Una poesia che usa tutta la ricchezza e la pienezza della lingua quotidiana, nel solco della tradizione poetica inglese. Uno dei suoi poeti di riferimento è Carol Ann Duffy, la cui poesia Clanchy ammira profondamente e di cui riconosce l’influenza, con le sue storie così piene di energia e forza vitale. Un altro debito che Clanchy non esita a riconoscere è quello nei confronti di Philip Larkin: «Appartengo chiaramente alla scuola di Larkin, soprattutto per quanto riguarda le mie prime due raccolte. Amo i suoi paesaggi urbani. Amo il fatto che scriveva di gente comune, ma soprattutto amo il suono della sua poesia e il suo uso della forma...». Tuttavia il mondo di Kate Clanchy è positivo, ottimista, solare; i suoi temi principali sono l’amore, il desiderio, gli affetti familiari, la maternità.
Dal 2005, Kate Clanchy si è dedicata maggiormente a opere di narrativa, romanzi e racconti, di non-fiction, e di radio drammi per la BBC, che le hanno valso importanti premi e riconoscimenti.
Dalla sua esperienza come Writer in Residence, e insegnante di poesia creativa presso la Oxford Spires Academy, una scuola multiculturale con un forte mix etnico e molti rifugiati da Afghanistan, Kosovo, Somalia, Siria e altra zone di guerra, Kate Clanchy ha curato e prefato un’antologia di poesie scritte dai suoi studenti e studentesse, di un’età che varia dagli undici ai diciotto anni, dal titolo England, Poems from a School, Picador, 2018, che ha avuto grande risonanza sulla stampa britannica a livello nazionale. Sono poesie commoventi, innocenti, fresche, drammatiche, di cui Clanchy scrive nella sua prefazione: «These poems are like the psalms sung by the rivers of Babylon, to remember home in a strange land: something very old. But they are also something very new – poems made in a new English, one inflected by all the poets’ languages, all their poetries and gifts, and by the mass migration of the twenty-first century».[1]
La poesia di Shakila, qui inclusa, ‘To the Taliban’, fa parte di questa antologia. Shakila è anche una delle tre studentesse protagoniste degli undici brani di prosa inclusi in questa antologia, tratti dal volume: Some Kids I Taught and What They Taught Me, Picador, 2019.
La loro conversazione, ingenua e matura allo stesso tempo, gli scambi con la loro mentore e insegnante, la stessa Clanchy, la nostalgia di casa, la riflessione sulla religione, la paura della guerra, delle bombe, del terrorismo, il loro desiderio di trasferire tutto questo in poesia, di inserirlo in “a frame”, in una struttura poetica, viene reso brillantemente nei frammenti di dialogo di cui Kate Clanchy è maestra, e nelle riflessioni finali che è indotta a fare sul suo ruolo di insegnante di poesia creativa, sul ruolo della sua scuola multietnica e, infine, sulla testa di Shakila.
Giorgia Sensi
[1]«Queste poesie sono come i salmi cantati presso i fiumi di Babilonia, per ricordare casa in terra straniera: qualcosa di molto vecchio. Ma sono anche qualcosa di molto nuovo: poesie scritte in un nuovo inglese, modulato da tutte le lingue dei loro autori, delle loro tradizioni poetiche, dei loro doni, e dalla migrazione di massa del ventunesimo secolo».
Notizia
Kate Clanchy è nata a Glasgow nel 1965 e ha studiato a Edimburgo e Oxford, dove ora vive. È insegnante, giornalista e scrittrice free lance. Le tre raccolte poetiche pubblicate (Slattern, Chatto & Windus 1995/ Picador 2001; Samarkand, Picador 1999; Newborn, Picador 2004) hanno avuto grande successo sia di pubblico sia di critica; tra i numerosi riconoscimenti si citano il Forward Prize for Best First Collection, il Saltire Prize for Scottish First Book of the Year, il Somerset Maugham Award.
In questa antologia, La testa di Shakila, accompagnano le poesie undici brani inediti in prosa tratti dal volume Some Kids I Taught and What They Taught Me, Picador, 2019, basati sulla esperienza di Clanchy come insegnante di poesia creativa in una scuola statale, multiculturale, multietnica, britannica. Appare anche una poesia, dal titolo “To the Taliban”, scritta da Shakila, una delle tre studentesse che parteciparono al Poetry Group di Kate Clanchy, le cui poesie sono pubblicate in England, Poems from a School, edited by Kate Clanchy, Picador, 2018.
Shakila è arrivata a Oxford all’età di quattordici anni, come rifugiata dalla persecuzione talebana nei confronti della popolazione Hazara al confine tra Pakistan e Afghanistan. Ha cominciato a scrivere poesie in inglese quasi prima di possedere le parole per farlo. Nell’arco di quattro anni, è diventata poeta di notevoli capacità, tanto che la sua poesia è stata pubblicata anche in England, Poems from a School (Oxford Poetry).
Newhome Cabaret
Anche se abbiamo deciso di raschiare all’osso le pareti, piallare a fondo le assi del pavimento e scurirle, lasciare a vista un bel po’ dei vecchi mattoni di Oxford, evidenziare le venature negli incastri, di lustrare, sbiancare, dar la calce a tutto secondo la moda sobria di oggi
lasceremo la cucina economica anni ‘50 col suo largo sorriso, là dove sta. L’etichetta dice NewHome Cabaret, il lavello smaltato si chiama Riposo: ci piace la loro linea moderna, le audaci cromature e quell’idea di spogliarsi nei loro nomi d’alluminio.
The Newhome Cabaret
Though we meanto plane the walls to bone, pare the floorboards bare and stain them dark, expose expanses of Old Oxford bricks, raise the grain in the tongue and groove, to polish, bleach, limewash the lot in the best spare modern style
we shall leave the ‘fifties cooker grinning where it stands. It’s labelled NewHome Cabaret, the enamel sink is Leisure: we like their cool design, bold notes of chrome and the suggestion of undressing in their aluminium names.
L’albero
Sono già mature le mele sull’albero che Miss Coombes ci ha lasciato. L’albero è piegato quasi a terra. Non avevo capito fino ad ora il loro peso freddo, né come si accalcano su ogni ramo a coppie, gialle, rotonde come lanterne cinesi lungo una strada addobbata.
Crepuscolo, e stai tornando a casa. Immagino la dinamo della tua bici tesa come una spoletta tra le strade che imbrunano, a illuminare casa nostra mentre ora, nella via, si accendono le luci – l’oro delle lampadine nelle piccole serre, lingotti di un ingresso, di una camera da letto, di scale.
Viviamo qui ora, e sebbene, altrove, una ragazza si appoggi al finestrino del treno, un dito attorcigliato allo zaino zeppo di tutto ciò che lei possiede – questo ci basta. Siamo le luci, le luci, le luci che i treni toccano nell’oscurità.
The Tree
The apples are already ripe on the tree Miss Coombes left us. The tree is bowed almost to the ground. I hadn’t understood until now the cold weight of them, or how they crowd each branch in pairs, yellow, round as Chinese lamps on a ceremonial highway.
Dusk, and you’re coming home. I imagine your bike’s dynamo drawn like a fuse through the darkening streets, to light our house as now, all down our road, the lights go on – the gold of bulbs in potting sheds, ingots of a hall, back bedroom, stair.
We live here now, and though, elsewhere, a girl is leaning on a carriage window, her finger twisted round the rucksack packed with everything she owns – this is enough. We are the lights, the lights, the lights the trains flick by in the dark.