Per Giugi
Negli occhi c’era un vento selvaggio,
qualcosa che a distanza di un decennio
non so ancora appurare,
una sorpresa dolente di belva ferita nel profondo,
di bestia defraudata di una parte
aggrappata al vello della pancia o del dorso.
Loro andavano e venivano, la faccia contratta di foiba,
il primo della fila trascinando con sé i compagni di coro,
i vivi con i morti serrati per i polsi,
e stavano lì ritti
come assenti
fra la panca e le cornici:
una cosa
incredula, irrisolta.
Muti tutti, tutti senza storia, imprigionati in una diceria,
calati nella frode dell’assenza, con la paura di affossarsi
interi,
uno stupore per regioni di lamiere e copertoni esplosi
di rabbia impotente,
braccia alzate e legate con il filo di ferro,
l’asfalto la platea e l’orrore: torti
subiti ingiustamente – sembravano quegli occhi – insieme al nulla
impagliato e dato via.