Edgard Degas
LA CASA DELL’OBLIO
Percorro la grande casa della mia prima infanzia.
Permane incorrotta come bolla
di tempi sostenuti.
Mantiene i suoi silenzi di legno assopito
nell’occhio marrone del vortice
della città confusa, rumorosa, tormentata.
Dal suo marciapiede si ravvisa, lontano,
trascinando negli occhi l’orizzonte sud,
un tratto di montagna che assomigliava, bordo
di un cuore antico, alla mia infanzia di immagini.
Ancora è azzurro, come lo sono le nitide
ed elevate, incandescenti montagne della mia terra
nella loro complicità di lontananze e cieli,
però appiattito e diviso,
non so ancora da quale mano di erosione e martirio.
Sopra i muri di quel meschino patio urbano
pareti dipinte di canne e fango si disfano lente,
le stesse che frugavo, golosa, di nascosto.
E la luce chiama ancora dalla vecchia fessura
tra il pavimento di cera e mogani
e il bordo della porta, rosicchiata e umile
come un albero antico,
fessura che fu a volte
magnifica finestra dei miei sogni
di bimba di città prigioniera nelle ombre,
di fronte alle sere impossibili.
Quelle stordite d’azzurro nelle estati,
o inondate di mari
nelle fauci furiose dell’inverno,
di acquazzoni che zittiscono qualunque voce
nel rauco tamburo del tetto.
Julieta Dobles