Sonia Franceschetti
STANZE PER IL GIORNO DEI MORTI
Il buio non nasconde i morti
ma gli occhi vedono il giorno
e io mi illudo della campana
che chiami l’ora soltanto ci lasci vivere
pensando radici
come pianta nei rami toccare l’alto:
è nella terra il cielo
qui il fiore capisce l’erba lo spino
e l’ombra che lo salva.
Così la sera incanta le case
e rogge dilagano in campi
in slarghi di fango dove non c’è colore
e si sconfina ciechi e si sta soli e filari d’alberi
sono a sentinella e ogni cosa gira ritorna
e stringe i paesi un silenzio d’inverno
il bruno di corteccia a metà dell’aria.
Gli uccelli notturni mai festosi
hanno grida vuote nel vuoto
e un rimbombo è l’unica voce
il nome che scende dalle imposte
scappa via dalla luce e all’alba
ognuno è rinnegato tre volte
dio non sai che fatica sbagliare.
I morti rubano memoria
diventano i ricordi e a notte
parlano dentro le grondaie in spifferi
improvvisi con improvviso significato
ma nulla è come prima i vivi
non ritornano non cercano più
hanno chiavi ad ogni porta.
Un giorno i morti risorgeranno
e noi li aspetteremo sui campi
con altra terra per loro: vedete
che terra è rimasta non ha più cuore
la terra senza di voi.
I nomignoli dei morti
non stanno nei cimiteri
si scrive il nome che uno
ha avuto non cosa diventa
Abele e non Caino e si dice
è pace la pace eterna.
Nadia Agustoni