Thomas Gauck
LA CASA DEI MIRACOLI
Avere nove anni,
tutta la sete del mondo negli occhi
e giungere alla casa nuova,
quella che vedemmo sorgere
da fosse aperte come fauci
dell’umidità terrestre.
Quella che andò ergendosi e crebbe
mattone su mattone,
in un garbuglio di malta e cemento
paralleli all’aroma plenario
di legno piallato alla vigilia,
tra gioioso effluvio di pitture,
ed echi di abitazioni nuove, come prati,
dove la luce irrompeva senza avviso
e installava il suo trono di mattine totali.
Casa della mia seconda infanzia
e della mia adolescenza di vetta e campanile.
Un San Pedro remoto di puledri
dove la casa era l’ultima finestra
del villaggio tranquillo e polveroso.
A volte, laggiù,
biancheggiava il campanile di Zapote,
se il vento scarmigliava
la cortina verde oro degli alberi,
all’addentrarsi nel sussurro fresco
degli ombrosi cafetales del sud.
E noi, bimbe di città,
cinque colombe libere, svolazzando, lente,
nei cieli assoluti di marzo,
ubriacate di libertà e di estate,
di brezze azzurrine e di estate,
di veraneras e di estate.
Julieta Dobles