Ho promesso che non scriverò più di te.
Perciò la x:
anzi la X
l’essere che non è
e soprattutto non sarà:
la X, capisci? Ma cosa mi aspetto:
mai mi ascoltavi quando ti leggevo Derrida
ad alta voce a letto
(anche perché ammetto
non ce n’è mai stata l’occasione
mai è successo
mai ti ho letto
Derrida ad alta voce a letto).
E poi come leggere le X? Derrida stava zitto:
a voce alta, una cancellatura. Non siamo mica
matti.
Si legge quel che c’è, non quel che non; e allora
fa prima a non accadere niente hai detto tu
piuttosto che gli sbreghi, le sbavature,
le vite imprecise sgualcite dall’usura:
facciamo prima a non fare niente,
lasciamo il foglio bianco, anzi:
anzi non me l’hai nemmeno detto,
conseguente fino in fondo
fedelemente ostinato
al tuo non averci
nemmeno pensato.
Sono io che faccio tutto.
La parola e la X e il desiderio e la bocca
che si chiude (resta una passeggiata
in una strada di traffico con il vento
che ci tira contro e io che penso
ai tuoi passi nei miei passi e i tuoi passi
e alla X che li cancella e che diventa
un’eco
l’eco perduta dei tuoi passi
nei miei passi nei tuoi passi
il piacere per sempre barrato
dei tuoi passi nei miei passi nei tuoi passi).