La notevole capacità di Soldini a non ridurre a meri simboli intellettualistici il suo canto, ma a sedimentarlo, pur nella suggestione intensa del linguaggio meta del simbolo, in vissuti reali e contestuali, appare una delle mirabili consegne di questa Opera, Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole, che ci è grato definire pulviscolare, per le scintille di luce che, come un prisma sfaccettato, riesce a proiettare. Non a caso il sottotitolo suggestivo e indicatore dell’ermeneutica dell’intera raccolta, così suona: «Effemeridi baciate dal sole». Di questo sole che si coglie attraverso l’andare dei tempi e delle stagioni, gli uomini sanno cogliere quelle scintille di eterno soltanto a patto che non si scada negli scontatismi e nei fruizionismi del rapporto di coppia. In questa prospettiva, allora, Soldini offre una delle prove sue più interessanti, per la singolare capacità di contemplare il sacro, negli eventi che ci circondano. L’Amore, tra questi, resta il più grande. A patto, ancora, di saperlo riconoscere, celebrare e perciò cantare nello stupore troppo spesso soffocato dalle frenesie irrequiete del vivere di oggi. Il Nostro ne è consapevole depositario, dunque, quando sigilla come ultimo passaggio il suo schierarsi a favore della dilatazione degli spazi del Mistero. In questa capacità consiste appunto, il logos dei poeti (dalla Prefazione di Cristiana Freni)
Lo sguardo, il primo, che mi regalasti
lo serbo nello scrigno d’oro
dei miei diletti beni, i più preziosi,
tenuti come curi l’anima
dentro i cardiaci anfratti
dei palpiti che si aprono
come boccioli in fiore.
Gli sguardi che mi doni ancora
aprendo la tua rara anima
al crinale della felicità
che alberga nella mia
impreziosiscono quel primo fiore.
Gli sguardi che mi dai nella visione
azzurra sorridono di te di me di noi
del mondo circostante e allietano
i miei occhi che di riflesso ti riguardano.
Non è fisicità seppur da questa parte
che tiene il filo della nostra intesa,
è invece come una soavissima melodia
che si dipana dalle canne d’organo
dolce armonia di una raccolta chiesa.
Si innalzano divine le note al creatore
gli sguardi tuoi inebriano il mio cuore.
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Il malcelato lacerto di diroccate mura
ci aspetta al limitare della malinconia
sulla scalcinata felicità che oggi abiura
alle letizie che ieri ci donarono armonia.
Ma se seguiamo il canto nella commessura
delle anime appartenenti a nobil prosapia
l’amore snideremo dalla scorticatura
e torneremo a cingerci con l’elitropia
che verde e rossa rende noi invisibili
che soli ci riamiamo di un amore puro
per quanto in carne passi e si tramuti in oro.
L’oro degli angeli ed il ceruleo cielo
che restano impassibili nel velo
non fanno che donare il vero
ai riccioli dorati e agli occhi tuoi azzurrati.
Le celestiali note riportano armonia
lasciando andare via la melancolia.
Le mura son fatate somigliano a vetrate
diafane a specchio lucidate: non son più diroccate.
Lo splendido splendore illumina l’amore
nelle terrene fragili e incantate dimore
di queste lievi parole soavi a te dedicate.
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