Si sente vibrare nella mente un rimpianto lancinante e vitale per un’altra epoca, che tutti ci illudiamo – almeno! – di aver vissuto. Quella in cui ci si muoveva e si pensava in una dimensione collettiva, quella in cui ogni gesto individuale implicava un riflesso corale, quella in cui gli altri – gli amici, i compagni – erano compresi nella nostra quotidianità e la condividevano. Non per forza, ma per scelta. Non per un’ideologia, ma per modo di vivere.
Ed era un’epoca in cui, coi gesti, si condividevano le parole. Parole come quelle dei versi di Silvio, parole che intessevano dialogo più che comunicazione, parole che interrogavano e che raccontavano.
[…] La poesia di Bordoni è, invece, un ostinato adempimento della vocazione civile della parola.dalla prefazione di Gabrio Vitali
Claudio Toscani
qui
il destino ha un cenno
di smarrimento,
qui
le nostre labbra
oh Bambina
oh Donna
oh Vita
oh Lotta sfatta
nella tua ripetizione
hanno quel fremito imprevedibile.
Il fitto, l’irrevocabile, il quotidiano
procedere sboccia con i suoi petali
Ogni altro petalo si richiude
alle prime voci dell’alba
sino all’alba futura.
Disarmonia e altro
Ma come si rompono, in un assedio immutabile,
queste notti ambigue? Questi giorni
così grondanti di stupore oscuro?
La mia malattia è ormai profonda
e non si pone altro che un indivisibile tormento,
come per una rispondenza inattendibile.
Dove sarà mai quel popolo?
Il vecchio pensiero mi rode dentro ancor più,
in queste domeniche di primo aprile.
Poche le rondini e inquiete,
nel ritmo intenso che accomuna la nostra contesa.
La rivelazione è nata da tempo.
E da tempo si riduce. Così la stessa verità.
Solo i gesti e le voci
crepitano come fuochi fatui. Qua e là.
Finanche gli occhi hanno una loro indefinita trasparenza,
come cose e null’altro.
* * *
Qui, in una qualsiasi parte di me,
– sperduta
tra la tortura ormai indolore –
raccolgo quella grazia degli eventi
che s’era posta all’inizio della mia Storia.
Sul limitare dei secoli avvenire.
Fuori, la strada e i nuovi comizi.
L’ideologia
e il volto così sofferente della prossima estate.
Una parola a te che fuggi. Diversa
da quelle che noi conosciamo.
A te che non puoi morire. Nonostante l’inaccaduto.
E questa accaduta indifferenza.
Né tu, né io, né altri – pare ormai definito –
possiamo più. Solo l’idea, distesa ironia dell’insieme.
Simulata, allorché le ricorrenze impongono
l’uso dei microfoni –
nel mezzo di questa stagione
incalcolabile.
A dire il vero,
con l’orecchio e il battito ancora
possibili, rimangono – si sente – piccolissime tracce.
Armonia e coscienza, forse: sperdute e invalicabili.
Lungo le rive. Lontano dalle città.
Richiami di una brevità estrema e minuta. E di un sangue
ormai insopprimibile.
Come quando la pioggia sopraggiunge.
Come quando parli al di fuori di te,
e la tua sofferenza così solitamente
avvolta nelle rotondità delle abitudini
avverte le gocce
e le linee
e la curva primitiva
dell’alba.
Peraltro – oltre a ciò – tutto è così immutato.
Anche l’infedeltà verso la nostra rigenerazione.
Frattanto, fuori, il cielo si rammaglia.
Si riconsuma.
Un trapasso a prima vista noto.
Per riaprirsi poi
– inavvertito –
a un azzurro insolito.
E allora che dire di noi? E di tutti gli azzurri della Storia?
Ieri la vita
Non la prima sera
ma subito quella accanto
noi fummo già nel sangue più ragionevoli.
In armonia con la febbre che muta.
Noi
che ora siamo strutturalmente definibili.
La tua bellezza è la bellezza del popolo risorto.
Anche la tristezza si è tutta rivestita.
Istruita a festa dentro i microfoni
sparsi per via.
Gli occhi immortali han lasciato
vagare la luce
dentro il gusto nuovo della bocca.
E il vento che ascolta.
È imperdonabile la voce del passero
con le ali aperte
nella sera minuta.
Ma io che so.
So un ricordo piccolo.
La musica è accarezzevole: delle parole.
Lontano, lontano è passato
un lampo
che macchiò di rosso i fertilissimi campi.
Io so un ricordo piccolo
tra il vago dei tuoni.
Così è stato.
E appena dopo
son passati i corpi
a uno a uno in fila. E han chiamato.
Ma il sonno è già quasi a mezzogiorno.
Si leva più tardi
nella primavera nostra
la libera follia che ci riconosce.
Più in là ci sono le stagioni.
La selva si purifica sempre. E gli alberi
riprendono il loro peso verde.
Tutto è così fatto per noi. Tutto è detto
e si dice.
….per mutare a fianco a fianco
e dividerci il cuore….
***
In copertina dipinto di Bea di Vigliano
Ha pubblicato in poesia:
“Tempo d’amore”
(Premio “L’autore” – Firenze e “Premio Bergamo” 1972)
“Poesie”
(Premio “Poeti di ieri, poeti di oggi” – Roma 1975 – con inserimento in antologia dedicata ad Alceo, Apollinaire, Baudelaire, Petofi e Verlaine)
“La pelle della terra”
(Premio “Circolo della Stampa” – Milano 1975)
“Una strana passione per il popolo”
(Corrisp. Montale 1981)
“Poesie per l’alba”
(Premio Marazza e selezione Premio Viareggio 1985)
Silloge “Luce a Ovest e a Est”
(Ex aequo Premio Città di Legnano-Giuseppe Tirinnanzi 1985)
Racconti e poesie sono apparsi su quotidiani, periodici e riviste.
Nella Stagione di Prosa “Altri percorsi” del Teatro Donizetti di Bergamo – 1988, alcune sue liriche sono state presentate dall’attrice Lisa Pancrazi.
Il testo teatrale “Finita è la guerra….”, scritto nel 1992, è stato rappresentato in Bergamo e provincia dal Teatro R.A.S.E Europa e premiato al primo Concorso Teatrale “Città di Sarnico” – 1993.
È promotore, con altri, di un Concorso Letterario annuale all’interno del Carcere di Bergamo, nel cui contesto è stato pubblicato il volume “Pensieri ed Emozioni” – la voce dal silenzio di un carcere – poesie e racconti – Ed. Centro Territoriale Permanente “E. Donadoni” – Casa Circondariale di Bergamo 2005.
Hanno parlato di lui – tra gli altri – Caproni, Strehler, Ronfani, Toscani, Ruffilli.
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