Damiano Scaramella è nato a Palestrina il 23/12/1990. Laureato in Lettere moderne a Roma, attualmente vive a Milano, dove studia e lavora. Partecipa alle iniziative della Casa della Poesia. Ha tenuto letture a Roma, Milano, Bologna e Modena. Selezionato dal Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna per l’edizione 2013 del festival di poesia AmoBologna, e vincitore, nello stesso anno, del Premio U29 del PoesiaFestival di Modena. Ha collaborato con riviste e periodici della provincia di Roma.
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Sono ridotto a una cornice
eppure mi attraversano
sentimenti bellissimi.
Maurizio Cucchi
I
Scrivere non è salvare, le mani
chiamano a raccolta e si vorrebbe credere
a tutte
o a nessuna.
Siamo prescritti alla deriva, ripete
il mappamondo mentre si gratta
i continenti dalla schiena.
*
(Dalla finestra su Wagner anche stanotte
la sconosciuta si è affrettata
in silenzio,
ma non ha fatto domande
mi ha guardato dormire, dal vetro …
«la morte è un taschino bucato, immemore
senza misura.
Chi resta
ci raccoglie dal fondo, aspetta che ancora
qualcosa ci trattenga al futuro»)
*
La cura è togliersi dall’aldilà, non
tracimare.
Inchiodare cartilagini e gambe
alla terra.
***
C’era un posto in cui stare, dove
dare nomi alle cose numeri
civici alle strade, e voci
per riempire i citofoni alla notte.
«Fermati lì, dopo arriverà il messia.
Si deve pazientare…ma i segni ci sono…
parlano chiaro…». Un giudizio universale
tenere incollate le case diritti
i lampioni, separare come un mare
i marciapiedi.
E noi aspettavamo a Parco Sempione
e il vecchio profeta dormiva
in un coronario di foglie e giornali «arriverà, certo
ma voi non lo vedrete, è già tardi. Gli uccelli
compongono strani algoritmi nell’aria, talvolta
chi è al centro collide, per sovraccarico» dice,
«per delitto dell’oltre-misura».
Palinopsia si dice quell’attardarsi di immagini
nella pellicola degli occhi –la vita si compie in ritardo,
è un sopravvivere alla dilatazione dei millenni
malchiusi.
Anche le costellazioni, dicono.
***
Il chirurgo ha scartato le ossa
come fosse un regalo. Cistifellea, diaframma
un paio di polmoni arricciati, «il defunto
fumava». Poi ha zigzagato nei reni
e tradotto qualche vena qua e là , per imbrattare
la scena –soltanto, per giustificare il sudario.
Uno a uno rimessi i libri dentro i pacchi, le flebo
spizzicate dalle arterie, la lettera a «moglie
e figliuoli, purtroppo un irreversibile male..».
«Cosa va nel referto dottore?», «E che dire,
una morte normale..»
***
Non si vive per miracolo me l’ha detto
il Naviglio stanotte. È dura sintassi la mano
che tiene le mie parole
alle tue -un segreto da omettere alla specie.
«Come quel lì, quel che faseva el magüt…
…puerett…la Renault lasciata in via Valenza…
i buoni pasto in tasca, magari viene fame
nell’attesa…i settantacinque centimetri
di mattone ben calibrati tra femore e tibia…
(che spreco di precisione e millimetri,
che prossemica oscena nell’acqua, come se
anche morire esigesse una qualche
premura geometrica).
Povera moglie che aspetta sotto una croce
di forchette e coltelli -i piatti coperti
a nascondere tutto. Non lo sa ma anche lui
è adesso migrazione alcalina,
pastura protozoica per le scimmie del futuro.»
«E noi, che facciamo?»
«Nom? Nom tiremm innanz, piscinìn…»
***
Per quale meridiano ti passa questa
malmessa cucitura di ore? Approssimati
al centro o alla deriva -ritrovati o dispersi
che importa, se nessuno riconosce l’uscita.
A Viterbo, su un treno, interroghi
le carte del tuo finestrino (la terra,
una traboccante vetriera…)
ma per dove ti chiamano le ombre, sei giuntura
o pupilla sospesa?
Nadir è il cassetto lasciato socchiuso
dove tenevi il tabacco e le pile,
si scende
a minuscole scale questo interstizio mancante
tra il restare e il partire.
***
Si dovrà in fine cercare la cifra
per scoperchiare i millenni. Parlare
a quel babàu ficcanaso che da vent’anni
appiattato nell’ombra mi osserva.
«Ero io?»
sotto quale forma poi, quali innumeri
divaricarsi di secoli ci hanno disfatto
nel sonno…
(magari l’aracnide stecchito sotto
la suola, impensato. «C’era un’assonanza tribale
a guardarci, peccato…» «ma no, è solo tramortito,
respira»)
Che dolore saperti vivo e scomposto
aperto agli sgocciolii della razza, assommato
al capitare del tempo che ancora ti avanza.
«Damiano quell’uomo ti guarda…»
«Ancora tu?».