Ivan Crico è nato a Gorizia il 1 novembre 1968, ma fin dalla nascita ha vissuto a Pieris, presso le foci del fiume Isonzo. Dal 2006 vive nell’antico borgo rurale di Tapogliano. Si dedica allo studio della pittura fin da giovanissimo, laureandosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna all’Accademia di Belle Arti di Udine. Parallelamente all’attività artistica, dal 1992 ha iniziato a collaborare con gli amici poeti Amedeo Giacomini, Gian Mario Villalta, Mario Benedetti e Pierluigi Cappello (con cui ha ideato la collana di poesia la “Barca di Babele”). Scrive in lingua e nell’arcaico idioma veneto bisiàc. Oltre ai libri citati nella nota bibliografica a corredo del volume, si segnala la raffinata versione integrale in bisiàc de Al cant dei Canti (Il Cantico dei Cantici), con prefazione del linguista Michele Cortellazzo, edito nel 2018 dalla ACB; e nel 2019 per Quodlibet, su invito di Giorgio Agamben, la traduzione poetica dell’opera di Pier Paolo Pasolini I Turcs tal Friùl. Nel 1999 con l’antropologo Gian Carlo Gri ed altri studiosi, ha inoltre studiato il fenomeno dei benandanti nel Friuli goriziano in un saggio apparso nel volume “Di prodigi segreti”, edito dall’Istituto Gasparini. Della sua poesia – pubblicata sulle maggiori riviste italiane e all’estero – si sono occupati diversi studiosi italiani come, tra gli altri, Giorgio Agamben, Antonella Anedda, Mario Benedetti, Filippo Betto, Luigi Bressan, Franco Brevini, Pericle Camuffo, Pierluigi Cappello, Elenio Cicchini, Mariuccia Coretti, Maurizio Casagrande, Manuel Cohen, Milo De Angelis, Roberto De Denaro, Gianni D’Elia, Anna De Simone, Nicoletta Di Vita, Bianca Dorato, Giovanni Fierro, Amedeo Giacomini, Hans Kitzmüller, Franco Loi, Francesco Marotta, Pavle Merkù, Tino Sangiglio, Edda Serra, Elio Tavilla, Francesco Tomada, Giovanni Tesio, Matteo Vercesi, Gian Mario Villalta.
Su le vendéme
La tera agra e i sighi dei pavoni de le fresche mace. In ta la sera, cu’i musi rassegnadi che ’na volta i era dei sovi - l’instessa maladission sfrisada
ta’l fundi dei cori - omini strachi i torna de la vendèma, sidini e grevi, ta ’l dèbul luʃor del ƺorno drìo finir.
Ma no ’l xe de lori più sto tenp de onde che li vardo sparnissarse drìo dei larghi de biava e i loghi, sidìni e liƺiéri como insonii candidi del vént liʃért dei sécui.
Vendemmie
La terra arida e le grida / dei pavoni dalle fresche / siepi. Nella sera, con i volti rassegnati / che un tempo sono / stati dei loro padri - la stessa / condanna incisa / in fondo ai cuori - / uomini stanchi ritornano / dalla vendemmia, silenziosi / e stanchi, nella debole / luce del giorno / che sta finendo. Ma non è più il loro / questo tempo da cui / li guardo disperdersi / dietro i campi di granturco / e le case, silenziosi e leggeri / come sogni bruciati / dal vento deserto dei secoli. 20.09.1989
Pol
O ƺòvin dio nassù in fra ’l roàn dei ʃgardassi che, ƺà ’ndà, ancói al se sfanta sensa lassar talpade in ta’l oro fiéul, ’npolvarà del siel... Te taie soche pa ’l fóu, ta i sprafumi de le erbe salvàdeghe. E ta’l fil de la to manàra la simìga, como t’un spec’ de arƺént, la lanpa sidìna dei oci tovi negri de luna.
Sol la tera dés la te nibisse de parlar. O ƺòvin dio che no te podarà suvignirte più de mi, al to vardar fresc’, che senpre ’l ridusseva, al iera como un prafun ta ’l cor rivà del fundi de ani ’ncantadi t’un vìvar sensa tenp.
Paolo
O giovane dio nato tra il viola / dei cardi che oggi, già trapassato, / smuore senza lasciare tracce / sul confine fioco, polveroso del cielo... / Tagli la legna per il fuoco, tra i profumi / delle erbe selvatiche. E nella lama / della tua accetta scintilla, come / in uno specchio d’argento, la fiamma silenziosa / dei tuoi occhi illuni. // Ora è solo / la terra a impedirti di parlare. / O giovane dio che non potrai / ricordarmi, il tuo sguardo / fresco e sorridente era / come un profumo nel cuore giunto dal fondo / di anni sospesi in una vita senza tempo. 24.9.1989